Claudia Cravero insegna lettere al Baldessano-Roccati di Carmagnola, scrive (anche per il teatro) e dipinge in digitale. Vincitrice del premio Cesare Pavese per la narrativa nel 2018, ha già ottenuto diversi riconoscimenti con i suoi racconti. “Divina Fuori Classe” è la sua prima opera di narrativa “estesa”, frutto di grandi passioni e di una puntuale e divertita rilettura della nota Commedia di Dante Alighieri.
“Divina Fuori Classe” è on line da qualche settimana. Che cosa può dirci a riguardo?
«”Divina Fuori Classe” è il risultato di un lavoro di scrittura e pittura nato nell’estate del 2018, quando mi sono ritrovata in una delle mie fasi creative più intense. Si tratta di un volume, il mio primo in assoluto, che ha per oggetto la Divina Commedia, l’Inferno nello specifico. Al suo interno, è possibile trovare vecchi appunti di scuola e aneddoti della mia vita da studente, corredati di vignette simili a quelle che realizzavo sul foglio degli appunti mentre il prof spiegava o interrogava. L’ho voluto intitolare “Divina Fuori Classe” per la sua vicinanza al contesto “scolastico”, il privilegiato per la lettura della Commedia, anche se poi il libro è rivolto a tutti, non solo agli studenti».
Claudia, dalla sua esperienza si deduce che ha tante passioni, che vanno dalla scrittura all’illustrazione, dalla fotografia al teatro, fino ad arrivare all’insegnamento. Si può dire che “Divina Fuori Classe” le tocchi un po’ tutte?
«In effetti è proprio così. In “Divina Fuori Classe” ho messo quasi tutte le mie passioni: il disegno, che pratico sin da bambina, la lettura e naturalmente la scrittura che invece è maturata sui banchi del liceo Baldessano Roccati, di cui sono ex allieva. E accanto alla parte in prosa, ho deciso di realizzare in forma teatrale anche alcuni dialoghi che si prestavano bene alla trasposizione, trasformando un po’ il poeta (e non me ne vogliano gli esperti), in un uomo qualunque, spaventato e spaesato, che si ritrova a compiere un viaggio che ha dell’incredibile. Resta fuori dall’elenco delle passioni la fotografia, dal momento che ho preferito inserire illustrazioni ad hoc».
Com’è cambiato il suo rapporto con la “Divina Commedia”, un’opera tanto geniale quanto complessa? Si può affermare che sia vicina all’attuale romanzo di formazione? E in cosa differisce?
«Ho imparato ad amare la Divina Commedia al liceo, soprattutto grazie al mio professore di italiano, a cui ho dedicato l’opera. Allora la vivevo con gli occhi di chi scopre qualcosa di grandioso, oggi la vivo da insegnante, ma ogni volta mi sorprende. Non so se parlerei proprio di una vicinanza con l’attuale romanzo di formazione, ma sicuramente si tratta di un viaggio spirituale che, prima o poi, in modi ed epoche diverse, molti di noi compiono, e per questo, almeno negli intenti generali, l’opera ha qualcosa da dire ancora oggi. Resta tuttavia un’opera figlia del suo tempo, un’enciclopedia del sapere e del sentire medievali, e come tale va studiata. Io, in effetti, non ho cambiato nulla della trama: l’ho solo alleggerita un po’, pensando a potenziali lettori giovani, che, una volta conosciutala sotto una veste più scanzonata, potranno, senza paura, affrontarla per com’è veramente, quando ne avranno gli strumenti».
Ha previsto un seguito per “Divina Fuori Classe”?
«Sì, se ci sarà apprezzamento per la prima cantica, proseguirò volentieri con le altre due (il Purgatorio e il Paradiso)».
Oltre a Dante Alighieri, quali altri autori recenti e passati stima e legge volentieri?
«Per la loro natura di evergreen, amo Euripide e Shakespeare, ma in generale tutto il teatro mi appassiona. Per la prosa l’elenco sarebbe troppo lungo…»
Cosa ne pensa, infine, delle attuali trasposizioni teatrali dell’opera? E del più conosciuto spettacolo “Tutto Dante” di Roberto Benigni? Quanto conta restare fedeli ai versi? E quanto, invece, è necessario semplificare per fare comprendere l’opera a più persone possibili?
«Ho un’idea precisa in proposito: sono per un cambio di registro, ma senza snaturare. Mantenere la trama, il messaggio di fondo è importante. Tuttavia è sempre più difficile far leggere i nostri giovani, quindi ben vengano opere che accolgono, invitano, predispongono, ma che non sostituiscono. Mi spiego meglio: non vorrei mai che gli studenti studiassero SOLO il mio libro. Vorrei che il mio libro (così come gli spettacoli di Benigni o le letture di Baricco) fossero un modo per far avvicinare i giovani all’opera originale. La pillola di Mary Poppins, se vogliamo. Oppure un modo per sorridere un po’ se l’opera la si conosce già e la si vuole affrontare con altri registri o canali».
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