La tragedia famigliare compiutasi solo qualche giorno fa, a Carmagnola, ha lasciato tutti nello sgomento. La Rete donne antiviolenza locale si unisce al dolore per la perdita di Teodora Casasanta e del figlio Ludovico con una riflessione, che riportiamo qui di seguito.
L’ultimo terribile crimine di femminicidio/infanticidio avvenuto a Carmagnola obbliga tutte e tutti a chiedersi come agire urgentemente per prevenire il ripetersi di tali mostruosità.
Il Piemonte ha registrato nel 2020 ben 15 casi di violenza tra le mura domestiche, di cui due sul nostro territorio solo in tempi recenti.
E ora Carmagnola è la prima a riaprire la triste serie. Il lockdown ha aggravato in generale la situazione a livello sociale, famigliare e personale, ma sono le donne, con le bambine e i bambini, a subirne le conseguenze più negative e gravi.
La violenza contro le donne è strutturale, non emergenziale, ed è legata alla profonda disparità di potere politico, sociale ed economico che persiste ancora nella nostra società, con una conseguente mancata effettiva parità nella relazione.
Non sempre questi fatti sono legati ad una patologia né tantomeno a un raptus (ne è la prova il fatto che gli uomini che compiono femminicidi e/o figlicidi e sono sottoposti a perizie psichiatriche, nel 90% dei casi risultano sani di mente). Spesso invece, da come ci racconta la letteratura, è il concetto di amore che viene interpretato come possessione di una vita, come se una compagna, una moglie, un figlio fossero un oggetto di cui si può disporre.
In questa cultura, che è trasversale, la donna non ha la possibilità di autodeterminarsi, non può avere un’identità propria, una vita propria, in certi popoli, ancora, neanche un’anima (come per le spose bambine). Siamo quindi di fronte a una diffusa arretratezza culturale, che vede l’Italia tra i paesi più colpiti.
Dobbiamo pertanto agire tutti, a tutti i livelli, nelle nostre case, nelle scuole, sui posti di lavoro, nelle nostre associazioni; dobbiamo agire affinché si costruisca una cultura degna di una paese che si possa definire realmente civile.
Che cosa possiamo e dobbiamo fare a livello locale?
Formalmente è presente in Carmagnola uno sportello comunale antiviolenza, ora chiuso a causa del Covid, con un numero verde a cui chiamare. Uno sportello voluto dalla rete di donne locali, con un Protocollo d’intesa, come richiesto e prescritto dalla legge regionale che regola le norme per gli interventi contro la violenza.
Ma questo sportello cosa fa per prevenire la violenza? Lavora con le scuole, i servizi socio-assistenziali e sanitari, i medici di base, le Associazioni di donne e del sociale, gli Enti religiosi e con tutti i gruppi che agiscono nell’ambito sociale e culturale? E tra i giovani e le famiglie nei loro ambiti di aggregazione?
Il Comune in primo luogo, quale Ente territoriale competente, deve avere tra le sue priorità l’attenzione su questo tema, creando le condizioni per costruire alleanze e collaborazioni con e nella Comunità locale, accordi e sinergie tra tutti i soggetti istituzionali interessati: scuole, forze dell’ordine, servizi socio-assistenziali e sanitari, per mettere in atto azioni di promozione e prevenzione, con una capillare diffusione delle informazioni, dal numero verde a tutti i riferimenti utili a cui rivolgersi.
Il Protocollo d’Intesa, sottoscritto dalla passata Amministrazione con tutti gli Enti Istituzionali, prevedeva l’adozione di azioni di contrasto alla violenza contro le donne, riportate anche dalle Linee Guida del Coordinamento della Città Metropolitana. Occorre riprendere la formazione avviata, che ha visto la partecipazione di molte donne e volontarie appartenenti ad Associazioni cittadine ed estenderla alle donne più giovani con gli strumenti adeguati, anche al tempo del Coronavirus.
Intanto le donne carmagnolesi, da tanti anni attive a livello auto-organizzato, cercano di agire e reagire, compatibilmente con la difficoltà di reperire risorse, soprattutto pubbliche.
Diverse Associazioni hanno deciso di mettersi in rete per rafforzare e condividere le loro iniziative autogestite, allo scopo di contribuire al cambiamento culturale e sociale, promuovendo iniziative di sensibilizzazione e la creazione di spazi di ascolto e di incontro, come quello garantito da anni dall’Associazione Karmadonne.
Ci sono diverse panchine rosse nei giardini cittadini e una, nel settembre scorso, è stata dedicata alla memoria di Eufrosina, uccisa a luglio, non pensando certamente che un fatto così grave potesse ripetersi ancora.
In occasione del 25 novembre le Associazioni della Rete di Donne carmagnolesi hanno realizzato insieme l’iniziativa “Una rosa contro la violenza”, con circa un migliaio di rose esposte sui balconi, in prosecuzione del Progetto “Vogliamo anche le rose”, realizzato due anni fa sulla facciata dell’Ospedale San Lorenzo dal Gruppo Donne in Città.
Ci sono dunque responsabilità delle Istituzioni e responsabilità della Comunità di cui tutte e tutti facciamo parte. Rendere le nostre case e le nostre famiglie ambiti più sicuri, comporta anche il riconoscimento dell’altra e dell’altro, della sua esistenza, della sua libertà, dei suoi diritti. Una delle prime azioni di riconoscimento è l’adozione di un linguaggio rispettoso dei generi, del femminile e del maschile, il cui utilizzo viene sovente irriso perché, si dice, “non è necessario” o “ non suona bene”. Interroghiamoci sul perché da sempre va bene dire maestra o infermiera, ma non suona bene dire sindaca o architetta!
E parlare di sicurezza vuol dire anche pensare e agire per creare una città a misura di tutte e di tutti. Le donne devono avere una maggior consapevolezza delle loro capacità e dei loro diritti, per dar voce alla nostra narrazione e alla nostra storia, senza aspettare che siano altri a definirci e farci gentili concessioni. Sta a noi tutte e tutti fare la differenza e agire per il cambiamento!